20 aprile 2005
Seguivo il battere del tempo senza avere paura di perderlo. Battere e levare, questo era tutto il mio credo. Sapevo contarlo, prevederlo. Ma non ero io a controllarlo. Un giorno è diventato nero, la notte è rimasta blu. C'era un uomo che tamburellava le dita sul mio corpo, e io dovevo seguire quel ritmo. Non riuscivo a sciogliermene. Non aveva ordine, ma non per questo era arte. Era una giostra che girava, folle, corsa dopo corsa. A volte mi tornano in mente quelle mani, a volte le sento ancora addosso. Si nutrivano di me, mi succhiavano. Vortici di catrame mi hanno avvolto la testa, e sono lividi che si espandono, poi svaniscono, ma non scompaiono. Hanno macchiato tutti quelli che hanno cercato di disinfettarli. Ogni carezza è stata acido che brucia la pelle, ogni sorriso l'ho partorito a denti stretti. Io sono la catena di un'ancora che oscilla nella corrente, fermata da quel peso e stretta a ciò che vuole salvare. E il ritmo che seguo adesso è quello delle onde.
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