Sono una colpa. Ho la pelle bianchissima, lo sguardo fisso, gli occhi rossi. Sono troppi giorni che non esco di casa. Ma non saprei dove andare. Non voglio vedere nessuno. Voglio stare da sola. Non voglio stare a casa. La verità è che ho paura ad uscire, non voglio accorgermi che fuori c'è davvero un mondo.
E la vita è bella, e se si vuole si sta bene. Lo so, è quel che dico sempre. E di solito ci riesco anche, insomma. Ma quando torna quel malessere antico, i miei propositi scompaiono, la mia forza si nasconde sotto un cumolo di pietre. Sono tutte piccole, ma hai voglia prima che riesci a spostarle tutte. Non è impossibile. E' faticoso. E' troppo lungo.
Mi chiedo se sia normale quel che provo. Ho sempre pensato che i miei momenti di bassa siano direttamente proporzionali (gh...) a determinati avvenimenti della mia vita, che, anche se sono passati da tanti anni, mi hanno in effetti lasciato un bel graffio. Ma forse non c'entrano niente, forse mi ha fatto comodo finora pensare di essere vittima di un trauma per nascondermi ad esempio, di avere dei normalissimi, banalissimi momenti di sconforto, dovuti all'emergere di quell'umana debolezza di cui da sempre nego, almeno con me stessa, l'esistenza all'interno della mia persona. E che sono contorta lo so già, non serve me lo facciate notare, non mi interessa se non capite. Del resto, non sto spiegando nulla a nessuno.
Come tanto tanto tanto tempo fa, ma evidentemente non troppo, quando Sofia vedeva il cielo coi colori invertiti. Lei aveva una visione chiara quantomeno. Distorta; ma chiara, univoca. Io non lo so. Io voglio uscire, ma ho paura di prendere freddo. Voglio studiare, ma non lo faccio. E' tutto al contrario, tutto diverso da quel che dovrebbe essere.


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