6 maggio 2008

La situazione archeologica in Iraq: l'articolo di J. Curtis del british Museum sul Times

Il dieci Aprile di cinque anni fa veniva saccheggiato il Museo Nazionale di Baghdad.
Il mese scorso, in occasione dell'infausta ricorrenza, è uscito sul Times un importante articolo di John Curtis, responsabile del Dipartimento del Vicino Oriente Antico del British Museum.

Purtroppo, non sono riuscita a trovare traccia della notizia qui in Italia, ne' tantomeno una traduzione in italiano.
L'argomento mi interessa molto (me ne sono già occupata qui);
ritenendolo un'articolo importante, vorrei, nel mio piccolo, dargli un po' di visibilità, innanzitutto diffondendo il link della versione originale (in inglese), ma soprattutto pubblicandone, di seguito, una traduzione in italiano che ho fatto in questi giorni.

L'articolo è abbastanza lungo, e qua e là potrei non averlo tra
dotto accuratamente, ma spero che, nell'insieme, il risultato sia soddisfacente; provvederò a correggere eventuali errori qualora me ne accorga o mi vengano segnalati.

Unico rammarico, è la consapevolezza che, data la scarsa visibilità di questo blog, il mio lavoro serva a ben poco. Non mi resta che votarmi a San Google...

Comunque, eccovi qua l'articolo.






Chi ha rubato i preziosi tesori dell’Iraq?

Cinque anni fa, mentre i carri armati entravano, i preziosi tesori iracheni uscivano dal paese. Gli esperti sono ancora confusi riguardo cosa sia realmente accaduto. Ora, per la prima volta, il leader dell’autorità britannica sull’archeologia irachena, nonchè testimone della devastazione, pronuncia il suo verdetto.


Di John Curtis

Cinque anni fa, il mondo rimase a guardare mentre il Museo di Baghdad veniva saccheggiato e depredato. E ancora mendica fiducia. Era piuttosto evidente, già prima dell'invasione, che per rimuovere Saddam Hussein si sarebbe pagato un prezzo molto alto, ma pochi avrebbero potuto prevedere quanto questo prezzo sarebbe stato elevato in termini di morti e di patrimonio culturale del Paese. Io certamente non ero preparato per i titoli dei giornali che gridavano "Saccheggiato il museo di Baghdad" quando, con Neil MacGregor, direttore del British Museum, ed io arrivai a Heathrow, dopo un viaggio a Teheran, il 13 aprile 2003. Visitavo regolarmente l’Iraq dal 1970, e nel corso degli anni ‘80 avevo diretto scavi archeologici in otto diversi siti nel nord del paese. Durante questo periodo, avevo stretto molte amicizie e mi ero innamorato profondamente di questo paese affascinante e accogliente, ma travagliato.

Come molti, ero contrario alla guerra, ma principalmente per motivi umanitari. Non mi sarebbe mai venuto in mente che gli eserciti della coalizione potessero essere così negligenti con il patrimonio culturale, da non preoccuparsi nemmeno di porre una guardia presso il museo dopo che i loro carri armati erano penetrati nel cuore di Baghdad. Sentire che il museo era stato saccheggiato, quindi, è stato profondamente scioccante.

Il motivo della mia costernazione è evidente: come archeologo e storico, sono consapevole di ciò che è in gioco. Ma perché chiunque altro dovrebbe preoccuparsene? L'Iraq è giustamente chiamato la culla della civiltà. E’ il luogo in cui è stata inventata la scrittura, dove apparsero le prime città, e la Mesopotamia è stata la terra di Sumeri, babilonesi, Assiri. L’Iraq Museum era uno dei più ricchi musei in Medio Oriente, se non del mondo, e ospitava una magnifica collezione di tesori dell’antica Mesopotamia. Altri in tutto il mondo hanno condiviso il mio senso di indignazione, quindi fu naturale che una conferenza stampa presso il British Museum, che era stata organizzata molto tempo prima per il 250° compleanno del Museo, si incentrò completamente sulla questione dell’Iraq Museum. Tessa Jowell, allora Segretario di Stato per la cultura, ha lottato per rispondere alle domande sul motivo per cui poteva essere accaduto un tale disastro. Ma né lei né chiunque altro ha avuto alcuna risposta. Più significativamente, appena la conferenza si è interrotta, Channel 4 News riuscì a creare un collegamento telefonico via satellite a Baghdad col mio vecchio amico Donny George, direttore della ricerca presso il Dipartimento Antichità Iracheno, e mi è stato possibile parlare direttamente con lui. Fui la prima persona al di fuori l'Iraq con cui egli riuscì a parlare.

Donny era distrutto. Saccheggiatori e vandali avevano potuto uscire ed entrare senza controllo dal Museo per due giorni. Sebbene non ci fosse nessuno nel palazzo in quel momento, era ancora incustodito e quindi vulnerabile. Egli mi ha chiesto di riferire queste informazioni, e mi ha invitato ad andare a Baghdad il più presto possibile per vedere che cosa si poteva fare per aiutarlo.

Ho unito le forze con la squadra della BBC e il 22 Aprile ho preso un volo per Amman, dove abbiamo raccolto i nostri "agenti di protezione" (un eufemismo per pistole a noleggio) e ci siamo spinti con un convoglio lungo la strada del deserto per Baghdad.

Una volta giunti al confine iracheno eravamo di fronte ai forti richiami della recente guerra: convogli militari, veicoli bruciati, e ponti bombardati. Nulla, tuttavia, mi aveva preparato al cambiamento di aspetto di Baghdad. Alla periferia della città abbiamo potuto vedere edifici anneriti, alcuni con il fumo che usciva ancora. Le strade erano in parte abbandonate, e vi era una calma irreale e tranquilla, punteggiata dal periodico suono di sparatorie, che mostrava come vi fosse ancora una certa resistenza all’occupazione della coalizione. Ci siamo diretti immediatamente verso il museo, e i nostri veicoli sono stati ammessi tra le porte chiuse.

Donny, il dottor Ismail Jabr, direttore del Dipartimento delle Antichità, e la dott.sa Nawalla al-Mutawalli, direttrice dell’Iraq Museum, uscirono a salutarmi. Si è convenuto che avremmo dormito sul pavimento sul colonnato. Al mattino siamo stati in grado di avviare la nostra ispezione del museo. E' stata una vista straziante. Sapevo già che, nell'ambito dei preparativi per la guerra, i curatori avevano trasferito la maggior parte degli oggetti dalle gallerie in un "archivio segreto" nelle viscere della terra sotto il museo. Tuttavia, essi hanno lasciato tutti quegli oggetti che, per un motivo o per un altro, erano difficili da spostare o semplicemente sono stati trascurati, ed erano questi oggetti che erano stati rubati o vandalizzati. Molte vetrine sono state divelte, per cuiin alcuni luoghi c’era un fitto tappeto di vetro rotto sul pavimento. Inoltre, ognuno dei 120 uffici nel palazzo era stato aperto, di solito facendo un buco nella porta.

Files, documenti, schede, fotografie, film e software per computer erano stati spazzati via sui ripiani e sul pavimento. Sembrava che l'intenzione fosse quella di farci un falò, ma per fortuna ciò non è avvenuto. Tutte le cassette di sicurezza nella del palazzo erano state rotte e aperte. Era inoltre chiaro che gli intrusi si erano introdotti nei magazzini, ma, in questa fase, nessuno era in grado di valutare l'entità delle perdite. Si è molto speculato sul fatto che il saccheggio sia stato spontaneo od organizzato - e su chi, esattamente, ci fosse dietro. Le teorie hanno spaziato dal coinvolgimento di fedeli Ba'athisti, determinati a causare disordini civili, alla connivenza dei rivenditori d’antiquariato internazionali. Cinque anni dopo, queste domande rimangono senza risposta. Il luogo in cui si trovi il materiale saccheggiato è ancora duramente dibattuto. Non vi è, chiaramente, un mercato nero d’antichità irachene, ma dove siano finiti i pezzi non è ancora noto.

Il giorno successivo è stato pieno d’incertezza. Il compito più importante era quello di preparare un elenco delle voci mancanti, e mi ha aiutato Donny a farlo. Tra i 40 e più pezzi mancanti dalle gallerie c’erano alcuni dei più grandi tesori dell’Iraq Museum, inclusi il vaso di Warka e la testa di Warka, entrambi datati al 3100 a.C.; una statua di pietra di re Entemena di Lagash, 2400 a.C.; la colossale base di statua con l’iscrizione di re Naram-Sin di Accad 2250 a.C; e una placca d’avorio da Nimrud, 800 a.C., con un africano dilaniato da una leonessa in un contesto di fiori di loto.

Gli americani hanno voluto sapere esattamente quanti oggetti sono stati rubati. Ho provato a spiegare la difficoltà di fare un controllo contabile e ho sottolineato che, di fronte ad una catastrofe di queste dimensioni, qualsiasi museo nel mondo (compreso il British Museum) avrebbe difficoltà nel dare una risposta immediata, ma invano. Ho avuto difficoltà analoghe con la squadra della BBC. Erano convinti che i curatori fossero in qualche modo complici di ciò che era accaduto, e purtroppo questo punto di vista è stato espresso nel successivo documentario. Io ero - e sono tuttora - certo che, anche se vi potrebbe essere stato qualche negligenza, non vi è alcuna prova di qualsiasi disonestà da parte dei tre alti funzionari presenti al momento. Era chiaro che, in questa fase, la cosa più utile fosse portare all'attenzione del mondo la gravità di ciò che era accaduto. Evidentemente, il modo migliore perché questo avvenisse fu, per Donny Gorge, di accompagnarmi a Londra e apparire nel corso della conferenza stampa che era stata frettolosamente organizzata per il 29 Aprile.

Abbiamo noleggiato una GMC quattro ruote e un conducente e siamo partiti (senza gli" ufficiali di protezione", che sembravano appena necessari). Presto eravamo a circa 80 miglia all'ora sulla strada deserta che porta al confine giordano. Improvvisamente, senza alcun preavviso, siamo stati superati ad alta velocità da un potente berlina Nissan e costretti a fermarci. Nella Nissan c’erano quattro uomini armati. Buttarono il conducente fuori dalla macchina, lo portarono nell’altro veicolo, mentre due di loro salirono nella nostra auto. Entrambi i veicoli sono poi stati spinti fuori strada, per circa un miglio nella macchia. Gli uomini hanno setacciato tutte le nostre tasche e borse, hanno preso i nostri soldi, e i passaporti. Hanno quindi posto alcune domande, e quando hanno saputo che eravamo archeologi hanno chiesto di sapere se avessimo avuto con noi qualche "antikas". Naturalmente non ne avevamo, ma hanno preso comunque il mio bagaglio in modo da controllare più tardi, nel tempo libero. Poi ci ha spinto di nuovo nella nostra auto, e ho avuto l’ardire di chiedere se potevo avere indietro il mio passaporto. Piuttosto sorprendentemente, a posteriori, il capo me lo ha tirato nella macchina, e se ne sono andati. E' stata una fortuna per noi che questo incidente sia accaduto prima che i ribelli iniziassero a rapire gli stranieri. Il conducente ha rimesso volentieri il veicolo in direzione della Giordania e spinto il piede verso il basso. Dodici ore più tardi eravamo nel nostro hotel ad Amman.

La conferenza stampa presso il British Museum, retta da Tessa Jowell, ha attirato un enorme interesse e siamo stati in grado di fornire l'elenco degli oggetti più richiesti. Abbiamo quindi predisposto un giro d’ispezione composto da me e da un piccolo gruppo di restauratori e curatori dal 3 al 25 Giugno del 2003. Nell’ Iraq Museum, Ken Uprichard e Birthe Christiansen, i nostri due restauratori, si sono impegnati a fare valutazioni di conservazione ed elaborare un piano di conservazione a lungo termine, mentre io e la mia collega archeologa Dominique Collon perlustravamo con attenzione i magazzini, raccogliendo ulteriori informazioni su ciò che era accaduto, ed esaminando la possibilità di intraprendere una revisione contabile.

Sapevamo che erano stati rubati da i magazzini circa 16000 oggetti, tra cui l'intera collezione di sigilli a cilindro incisi (per imprimere disegni sulle tavolette d’argilla), ma il problema non era solo il materiale rubato. Molti oggetti erano stati spazzati via dagli scaffali, e poi calpestati. Vi è stato un problema particolare con i delicati avori di Nimrud. Questi e altri oggetti sono così preziosi che è impossibile valutare l'entità del danno finanziario. Siamo stati inoltre condotti a verificare lo stato dei gioielli d’oro dalle tombe della regina assira di Nimrud, che erano stati posti in custodia in un seminterrato della Banca Centrale. Sebbene durante la guerra il luogo sia stato inondato, I gioielli sono pressoché indenni, il che è stato un enorme sollievo.

Ma i problemi non erano limitati al Museo di Baghdad. Avevamo bisogno di sapere cosa stesse accadendo altrove, negli altri musei e in molti siti archeologici in tutto il paese. Innanzitutto, a Babilonia. Anche se vi è stata una presenza militare, qui non è stata molto consistente, e non ci sono segni evidenti di saccheggio, tranne i danni ad alcuni dei mattoni della porta di Ishtar ed al (moderno) negozio di souvenir che era stato bruciato. Il problema più grande è stato che, anche se Donny George era con noi, ci hanno fatto attendere al di fuori del cancello del campo per 2 ore e mezza a una temperatura di 45° C. L'accesso ai siti archeologici è stato un problema che ho incontrato di nuovo ad Ur dei Caldei, la famosa città sumera nel sud dell'Iraq.

Dopo Babilonia abbiamo viaggiato fino a nord dell'Iraq, nell’antica Assiria, essendo a conoscenza di alcuni rapporti negativi sullo stato del patrimonio culturale nella regione. In effetti, siamo stati i primi archeologi occidentali a visitare il Museo di Mosul dopo il saccheggio, e a scoprire che vi era accaduta la stessa cosa che a Baghdad, ed esattamente nello stesso momento, tra il 10 e l’11 Aprile. Particolarmente preoccupanti da vedere sono state le porte del re assiro Ashurnasirpal II (883-859 a.C.), trovate da Sir Max Mallowan a Balawat. La maggior parte dei pezzi dei rilievi in bronzo era stata strappata al largo delle porte di legno ricostruite. A Nimrud, la città fatta capitale dell’Assiria da Ashurnasirpal, vi erano relativamente pochi danni, in parte a causa, senza dubbio, della presenza di un piccolo distaccamento degli Stati Uniti, ma vi erano i segni di alcuni tentativi di rimuovere pezzi di scultura in pietra, uno dei quali aveva avuto successo.

A Ninive, abbiamo visto con orrore che il tetto ondulato di ferro nel palazzo di Sennacherib era stata strappato dai saccheggiatori, lasciando le sculture esposte agli elementi, ma da quel che ho capito, questo tetto è stato poi ricostruito. Nel complesso, la nostra visita al nord è stata incoraggiante, confermando la speculazione che il danno al patrimonio culturale non fosse così grande come nel sud.

Dall'estate del 2003, le condizioni di sicurezza sono diminuite bruscamente con la crescita dell'insurrezione, e non è più possibile viaggiare liberamente attraverso l’Iraq. Molti dei siti archeologici sono effettivamente inaccessibili, e nel nord, è diventato estremamente pericoloso anche per gli iracheni visitare siti come Nimrud. Il risultato è che non è stato possibile proseguire in nessun modo ai piani di conservazione formulati dalla squadra del British Museum, e viaggiare in Iraq presenta molte restrizioni. Infatti, la mia successiva opportunità di visitare l'Iraq non arrivò fino al dicembre 2004, quando venni invitato a Babilonia.

Tra l'estate e l'autunno del 2004, c’è stata una crescente inquietudine circa le dimensioni del campo militare a Babilonia e l'effetto è stato quello che si può avere su uno dei siti più importanti del mondo antico. E 'stata la capitale di due dei più famosi re dell’antichità: Hammurabi (1792-1750BC), che introdusse il primo codice contenente delle leggi, e Nabucodonosor (604-562BC), che ha costruito i giardini pensili di Babilonia, una delle sette meraviglie del mondo. Il campo occupa 150 ettari, e ha contenuto 2000 soldati. Un certo numero di relazioni e articoli avevano richiamato l'attenzione sul problema, finché la coalizione ha deciso, alla fine del 2004, di liberare il campo e di consegnarlo agli iracheni.

Il ministro iracheno della cultura, Mufid al-Jazairi, ha voluto da un osservatore indipendente una relazione dettagliata circa i danni occorsi mentre Babilonia era sotto occupazione militare. Sono stato pertanto invitato a partecipare alla cerimonia di riconsegna. Lungo la strada per Babilonia, sono stato sistemato in una grande stanza in un ex palazzo di Saddam, situato vicino ad un lago artificiale con ponti ornamentali. E' stata un’esperienza bizzarra dormire in un palazzo costruito per l'ex dittatore. A Babilonia, il percorso di ispezione nel sito è stato effettuato dalla Dr. Umran Musah Maryam, che era, a quel tempo, la responsabile di Babilonia. Era particolarmente ben qualificata per rilevare i numerosi casi di danneggiamenti. In primo luogo, vi erano circa una dozzina di trincee, la più grande lunga 170 metri, scavata in depositi archeologici precedentemente inalterati. In queste trincee sono state trovate ceramiche, ossa e frammenti di mattoni con iscrizioni nell’antica scrittura cuneiforme, per la maggior parte del re Nabucodonosor. Vi erano anche buche da cui era stata rimossa una grande quantità di terra, un po' come una miniera a cielo aperto. Di nuovo, questi tagli erano stati fatti in depositi archeologici finora inalterati. Poi, circa 300.000 metri quadrati del sito erano stati coperti di ghiaia, a volte compattata e trattata chimicamente, destinati ad essere usati come un eliporto e per creare spazi per il parcheggio dei veicoli e l’alloggio dei blocchi. Tutta la ghiaia era stata portata da luoghi esterni al sito, e al momento della lavorazione era entrata nei depositi archeologici, contaminandoli irrimediabilmente.

La stessa cosa è accaduta con tutta la benzina e il gasolio versati nel settore della stazione di rifornimento. Tutt’intorno al sito vi erano sacchi di sabbia e containers Hesco in maglia d’acciaio riempiti di terra strappata via dal sito. Quando è stato spiegato che era una pratica sbagliata, i lavoratori iniziarono a portare terra da altri luoghi esterni al sito, ma questo è forse ancora più grave, perché spesso questa terra viene da altri siti archeologici e contamina il record di Babilonia. In molti luoghi del sito, vi erano segni di ruote causati dai veicoli militari pesanti, e questi movimenti hanno sicuramente danneggiato il fragile deposito archeologico sottostante. Anche l’antica pavimentazione in mattoni della Processional Way della parte Sud, risalente al VI sec. a.C., è stata danneggiata dai veicoli pesanti che vi hanno camminato sopra. Ultimo, ma certamente non meno importante, è il danno alle otto e più figure di drago della porta di Ishtar, apparentemente causati da cacciatori di souvenir che hanno cercato di strappare i mattoni.

Naturalmente, è perfettamente vero che Babilonia ha subito gravi danni anche al tempo di Saddam Hussein. Tra le altre cose, ha ricostruito il palazzo di Nabucodonosor utilizzando mattoni timbrati in arabo con il suo nome, ha creato un lago artificiale sul sito, e ha costruito un grande tumulo artificiale con un palazzo in cima. Tuttavia, questi abusi non avrebbero dovuto essere una scusa per i successivi maltrattamenti da parte della coalizione. Infatti, non si sarebbe mai dovuto stabilire un campo militare dentro Babilonia, ed averlo fatto può essere comparato alla costruzione di un campo accanto a Stonehenge o all’ombra della Grande Piramide.

Ad Ur, nel Sud dell’Iraq, vi erano problemi diversi da quelli occorsi a Babilonia. E’ stato ad Ur, il leggendario luogo di nascita di Abramo, che Sir Leonard Wolley trovò il cimitero reale negli anni ’20-’30. Il sito si trova accanto alla gigantesca base aerea di Tallil, nota per essere la più grande di tutto il Medio Oriente, che copre un’area di circa 28 Km quadrati. La base c’era già prima della seconda guerra del Golfo, ma dopo di essa il sito di Ur è stato incorporato nella recinzione che circonda il perimetro della base, divenendo inaccessibile ai comuni Iracheni.

Nel Marzo 2006, gli archeologi della coalizione hanno fatto circolare delle relazioni riguardanti la rimozione di pietre con iscrizioni dal sito di Ur, avvenute senza il permesso del Dipartimento Iracheno per le Antichità, e le hanno portate al vicino museo provinciale di Nasirya. Tutto ciò era decisamente inaccettabile e Donny George, ormai Direttore delle Antichità, si è indignato. George inviò il suo staff per investigare, ma dichiarò anche di voler visitare Ur personalmente, invitandomi inoltre ad unirmi a lui. Avevo anche un’ulteriore motivazione, in quanto lo scavo originario di Ur era stato sponsorizzato dal British Museum. Prima che ciò potesse accadere, Donny lasciò l’Iraq nell’Agosto 2006, dopo che alcuni membri della sua famiglia ebbero ricevuto minacce di morte. Ora insegna alla Stony Brook University di New York. Il progetto è stato preso di nuovo in considerazione quando ho incontrato il suo successore, il Dr. Abbas al-Husseini, ad una conferenza a Londra nel Novembre dello stesso anno. Sono finalmente stato in grado di recarmi ad Ur nel febbraio del 2007.

Il campo di Tallil, che si trova all’interno della base aerea, ospita truppe americane, australiane e rumene. Il piano era che io incontrassi il Dr. Abbas, che aveva viaggiato per 250 miglia da Baghdad espressamente per quest’appuntamento, alla base aerea alle 11.30 del 22 Febbraio. Egli giunse al cancello principale con un gruppo di circa 20 persone in 5 veicoli, e immediatamente si è verificato un problema. Le guardie americane erano disposte a permettere l’accesso al gruppo solo se tutti si fossero lasciati perquisire e avessero mostrato un documento d’identità valido. Il Dr. Abbas non era disposto, per principio, a lasciarsi perquisire, e non tutti nel suo gruppo avevano un documento valido. La sua spiegazione è stata che egli, come direttore delle antichità, dovrebbe avere acceso illimitato a tutti i siti archeologici dell’Iraq, che sono, dopo tutto, sotto il suo controllo. Sfortunatamente, questi argomenti si sono rivelati infruttuosi, e dopo due ore e mezza di stallo, il gruppo iracheno se ne andò. E’ intollerabile che il direttore delle antichità o chiunque della sua squadra non abbia libero accesso ai siti archeologici od ai monumenti neanche in seguito alla richiesta, ed è da sperare che episodi come questo non si ripetano in futuro.

Ci fu, sfortunatamente, un altro problema ad Ur. La nuova porta principale del complesso ingrandito è stata costruita sopra uno dei sobborghi dell’antica Ur, noto come Diqdiqqah. Il complesso del cancello, o centro di Controllo dei Visitatori, è di 400 metri quadrati, e la sua costruzione ha senza dubbio danneggiato i depositi archeologici sottostanti. Certo, non ci sono mai stati scavi sistematici a Diqdiqqah, ma se le autorità della coalizione avessero consultato un qualsiasi archeologo, o un qualunque esperto della gestione del patrimonio culturale, sarebbero state avvertite di non costruire il complesso in quel luogo. Come per Babilonia, questi episodi evidenziano le pressanti necessità di collaborazione tra le autorità della coalizione e il Dipartimento Iracheno per le Antichità.

Quali sono ora le prospettive per il patrimonio culturale iracheno? Sfortunatamente, in questi cinque anni trascorsi dal saccheggio all’Iraq Museum nel 2003, sono stati fatti ben pochi progressi. Si è discusso molto, nelle conferenze organizzate in molte parti del mondo tra loro distanti, come Parigi, New York e Tokio, e vi sono state molte offerte d’aiuto, ma alla fine non si è concluso molto. Ciò è in parte dovuto alla situazione di scarsa sicurezza, che ha reso difficoltose le operazioni sul terreno, e in parte alla riluttanza dei vari governi di investire nella creazione di risorse per l’Iraq. Eccezioni a questa situazione sono l’Italia ed il Giappone, che hanno finanziato, tra le altre cose, un nuovo avanzamento della tecnologia del laboratorio di restauro dell’Iraq Museum. Il laboratorio è pronto per essere usato, ma tale è la situazione, in termini di sicurezza, che il personale è riluttante a recarsi al lavoro, che rimane per lo più tristemente vuoto. Vi sono stati anche corsi di formazione per specialisti iracheni, tra cui alcuni al British Museum.

Si tratta di un quadro desolante, ma ci sono alcuni segnali incoraggianti. La maggior parte dei 40 oggetti simbolici rubati dalle gallerie dell’Iraq Museum sono stati ormai recuperati (ma non le preziose placche d’avorio), così come circa la metà dei 16.000 oggetti rubati dai magazzini (anche se manca ancora la collezione di sigilli). Il ritorno degli oggetti è stato incoraggiato, tramite l’offerta di ricompense da parte dell’esercito americano. Due gallerie dell’Iraq Museum sono state riaperte recentemente, ma le condizioni d’ingresso non sono chiare. Più significativamente, sembra esserci una diminuzione della frequenza di saccheggio nei siti archeologici del Sud, che rappresentava una piaga terribile. Ciò dovuto in buona parte agli sforzi del Dr. Abbas (che ora si è dimesso da Direttore delle Antichità), che ha utilizzato i suoi contatti nel Sud con buoni risultati. Vi è anche una buona notizia su Babilonia. Il Dipartimento delle Antichità ha raggiunto un accordo con il World Monuments Fund ed il Getty Conservation Institute per il quale tali organismi contribuiranno a produrre un piano di gestione del sito e ad iniziare la riparazione di parte dei danni. Il British Museum terrà una speciale mostra su babilonia, che aprirà per Novembre 2008, che prenderà in esame la verità e la finzione dietro queste città storiche e fornirà l’occasione per i visitatori per saperne di più sullo stato attuale del sito.

Tutti questi sviluppi sono alla base di un cauto ottimismo. E’ particolarmente incoraggiante che nel Sud dell’Iraq, la terza divisione dell’esercito britannico, tramite il generale maggiore Barney White-Spunner, si sia mostrata interessata ad aiutare, ed in fase d’elaborazione un piano comune con il Dipartimento delle Antichità irachene il British Museum. Questo piano comporterà la visita ad alcuni dei più importanti siti archeologici del sud, per vedere come possano essere protetti al meglio, e la ricognizione ad alcuni palazzi dei musei provinciali, per vedere se possano essere ancora utilizzati. Tutto ciò è ben lontano dall’atteggiamento della coalizione nell'ambito dei preparativi per la guerra. Allora, le autorità militari non hanno chiesto alcuna consulenza, accontentandosi della richiesta di una lista dei siti importanti (che poteva essere ottenuta da una qualsiasi di una lunga serie di guide turistiche). Avrebbero dovuto perlomeno consultarsi con archeologi ed altri specialisti che avessero familiarità con l’Iraq, e nel migliore dei casi essi avrebbero dovuto avere archeologi ed esperti del patrimonio culturale all’interno del corpo militare, come fecero durante la seconda guerra mondiale. In questo modo, alcuni dei disastri sarebbero potuti essere evitati. Nel frattempo, hanno lasciato una situazione in Iraq in cui molti d’oggetti d’alta qualità sono stati rubati dai musei o danneggiati, e molti siti archeologici nel sud del paese sono stati saccheggiati in modo irrecuperabile, con la conseguente perdita di gran parte delle informazioni preziose di un patrimonio culturale che è proprietà di tutto il mondo.






1 commento:

Michele/Konrad ha detto...

Cara sha.
Ricambio la cortesia della visita.
Queste notizie sono folli e, purtroppo, verissime.
Credo che nel breve termine la situazione rimarrà questa se non peggio.
Il che è doloroso.
La culla della civiltà distrutta dai saccheggi.